1568-01-18 - Di Verona ali 18 Zennaio '68.
 

Esimio mio signor osservandissimo

In fato è forcia che faci una bona scusa cum lei, essendo io a quella debitor risponder a una sua mandatami zà asai, ma le occupationi delle faccende della spiciaria, il travaglio auto da quel furbo maligno bolzone di quel scalcina, non che lo stimassi né per lui né sue fiabe et cianze, ma solum per star cum li ochi aperti a chi lo ponzeva lui, il quale è rimasto afato afato sepulto vivo cum gran sua vergogna, havendo provato cum tante autorità contra quello si pensava lui, dove apresso di me resta fede amplissima et dal mio Collegio, et dalla mia cità, et canzeler, et retori, et cusì dal signor Matioli et molti altri; cosa che se pensava farmi dano et vergogna mia, al suo dispeto inalzato et dato onore et credito. Dove io, per la Dio grazia, dò via tanta Tiriacha che è uno stupore, et servo molte et moltissime fedde dalli efeti miracolosi che hanno fato et fa, cusì in veneni corrusivi come in altri strani aceidenti. Del tuto laudato sia Idio.
Questo furbo pensandosi l'eser andato non so che mesi per Padoa cum la boca aperta, se misse a la prova in Venecia di volersi far creare dottore, dove cum tuto che avese una carta di susidio nella bereta, mai ne sepe una sol parola, dove fu scazato via di consenso universale cum grandissima sua vergogna. Et perché avea depositati certi pochi dinari al Collegio, li redimandò indrio per l'amor di Dio cum una sua suplicha et li passò la gracia di poterli aver indrio di due solle voce. Et il tuto costa apreso di me cum fedi autentiche. Cusi andò anche a Ferara, et il simile li riuscì cum gran vergogna; in ultimo s'è riduto alla (1)


(1) nota: BUB, ms. 382, III, cc. 49r.-50r.; CERMENATI 1908, pp. 117-118.

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